WANG FEN
Dietro alla delicata bellezza di Wang Fen si intravvede una grande forza di carattere. «Ho deciso di lasciare la Cina quando mio figlio Ai Lao ha cominciato a farmi domande alle quali non potevo più rispondere con chiarezza»
Nel viso di Ai Lao, 6 anni, gli inconfondibili lineamenti del padre, Ai Weiwei, il più famoso artista contemporaneo cinese, si fondono con quelli della madre, Wang Fen, 37 anni, sceneggiatrice e regista, autrice in Cina di premiati corto e lungometraggi, oltre che del montaggio di molti video di Ai Weiwei: preoccupata oggi di proteggere l’infanzia del figlio, con cui lo scorso ottobre si è trasferita a Berlino. «Negli ultimi tempi, a Beijing, l’atmosfera era diventata pesante, e non mi riferisco solo alla qualità dell’aria», racconta. Ad Ai Weiwei, apertamente critico nei confronti del governo, è stato confiscato il passaporto dalle autorità cinesi nel 2011. Prosegue Wang Fen: “Non era l’ambiente ideale per far crescere un bambino. Ho deciso di partire e siamo arrivati qui con un paio di valigie, senza conoscere la città. Ma siamo stati bene subito. A Berlino c’è ancora spazio per i sentimenti, per l’arte, per la dignità”. La regista, nata in una città di provincia dello Jiangxi, nel sud-est della Cina, cresce, ultima di cinque fratelli, in una famiglia “normale”. Il padre, dirigente delle ferrovie, dopo la rivoluzione culturale fu declassato a semplice lavoratore. “I miei ci hanno sempre incoraggiati a pensare e parlare liberamente”. Mandata in collegio a 5 anni, si ritrova giovanissima a studiare recitazione prima alla alla Shanghai Xie Jin Ming Xing School e poi al Shandong Art Institute, per soddifare il desiderio del padre, che sognava da sempre di vederla sullo schermo. Di una intelligenza curiosa e vivace, si diploma a pieni voti “ ma finita la scuola la mia passione per il paloscenico si era gia’ spenta “ . Lavora come modella e attrice. ma senza troppo entusiasmo. “Vovevo trovare una nuova sfida, ma senza tornare a studiare: mi interessava piuttosto vivere, conoscere gente interessante, lavorare.“ Erano gli anni in cui le telecamere digitali avevano invaso la Cina. “Ora girare un film diventava semplice, e possibile anche per i non professionisti. Bastava trovare un soggetto. Pensai: chi posso filmare? Ero in una eta’ in cui cercavo la mia identita’. Mi dissi: tanti dei miei comportamenti, delle mie emozioni, mi arrivano dai miei genitori, ma so davvero chi sono? Li conosco da vent’anni, ma ho mia cercato di capirli a fondo? (ride). Il risultato e’ “More Than One is Unhappy” un documentario intimo e toccante: che racconta, dal punto di vista dei due protagonisti, la unione non sempre felice dei suoi genitori. La sensibilita’ con cui Fen appena ventenne, esplora il soggetto, colpisce la critica non tanto in patria dove sono ancora rari i film che riguardano la sfera privata, ma all’estero: il documentario vince il New Wave Prize al Yamagata International Documentary Festival in Giappone. Il debutto in un lungometraggio avviene con “The Case” (parte dello Yunnan New Film Project, una antologia di dieci film diretti da giovani registe cinesi): un piccolo film dall’ottica cosi originale da essere definito dalla rivista Variety “ an impressive first feature ”. Qui la storia di Fen merita un fermo immagine, perche’ arriva il fatidico incontro con Ai Weiwei. “ Lui stava lavorando sul progetto Fairytale per la Documenta 12 di Kassel del 2007, che prevedeva invitare 1001 cinesi di diverso background nella citta’ tedesca, per fargli vivere la propria favola personale.” ci racconta lei. “ Il progetto prevedeva filmare la realizzazione della idea. Uno dei cameramen aveva bisogno di aiuto, e mi chiamo’: ero in attesa che fossero pronte le location del mio secondo film, ed accettai.” L’incontro e’ ovviamente significativo per entrambi: la nascita di Ai Lao cambiera’ il corso delle loro vite. “ Ai Weiwei mi ha sempre molto aiutata, ” conferma ora lei con la solita ironia “ bocciando tutte le mie idee. I suoi lavori sono strettamente legati alle sue opinioni, e credo volesse spingere anche me a trovare la ispirazione, per i miei film, nel mondo reale. Gli ho sempre risposto: faccio film proprio perche’ non voglio occuparmi solo della vita reale. Finivamo sempre per litigare. Ma in questo modo sono diventata piu’ forte. “ Un recente esempio della loro collaborazione? “ I Love Berlin”, l’ultima installazione della serie Cities of Love, scritto da Fen, diretto dal suo studio di Pechino da Ai Weiwei via Skype, e interpretato da Ai Lao. Un corto poetico sulla separazione, e sul rapporto long distance fra padre e figlio, costretti dal confinamento di Ai Weiwei in Cina a vedersi solo attraverso lo schermo del computer. “ Parlamo con lui ogni giorno via Skype “ conferma Fen “ in modo che Ai Lao sappia che suo padre c’e ancora, da qualche parte (ride). Conduciamo una vita familiare digitale.” Come vede Fen il suo futuro? “Nessun piano preciso, si naviga a vista.” Per ora studia l’inglese, ma le piacerebbe continuare a fare film, anche se “ nella nostra era di Internet, i film sono diventati come dei caffe’, si fanno e consumano velocemene. E io non voglio fare caffe’ (ride). ” Il tempo e’ scaduto, e persino la concentrazione di Ai Lao, il cui comportamento e’ davvero impeccabile ( “e’ un bambino maturo e sensibile, sto preparando l’uomo perfetto per un’altra donna ” scherza Fen ) comincia a vacillare. Ma lei vuole aggiungere qualche battuta su un tema che le sta particolarmente a cuore: quello della attuale condizione delle donne cinesi. “In Cina oggi, esistono due categorie di donne: la prima, tradizionalista, crede di dover tollerare i comportamenti dell’uomo, e confrormarsi ad essi, per il bene del matrimonio. La seconda e’ composta da donne piu’ giovani che rifiutano di essere considerate cittadini di seconda classe: che fanno del loro meglio per essere indipendenti, e sono pronte a pagare il prezzo delle loro convinzioni.” A quale categoria appartenga lei, non c’e’ alcun dubbio.