BOHO BEACH LIFE
Spiagge intatte, gourmandizes portoghesi, ritmi rialssati. E’ Comporta, esclusiva localita’ sull’Atlantico, tutta da scoprire.
Esclusiva, elusiva, di una bellezza mozzafiato. Non è una diva à la Greta Garbo, ma Comporta, in Portogallo, destinazione dall’eleganza understated e rifugio segreto del beau monde europeo, le cui coordinate si comunicano (a pochi) con il passaparola. Spiagge candide a perdita d’occhio, morbide dune, pinete selvagge, placide risaie, un paesino di case bianche e azzurre che pare fermo nel tempo: sembra incredibile che questo angolo di paradiso si trovi a un’ora da Lisbona. «Natura, sobrietà e semplicità: sono questi i punti di forza di Comporta», spiega Maria Jordan, la cui boutique Côté Sud (+351-265497317) propone creazioni hippie-chic come quelle di Ambas, della it-girl Sophie Galeras y Mollinedo. Da questi luoghi passano rampolli della jeunesse dorée come i Casiraghi, designer come Christian Louboutin e Jacques Grange, la coppia Bruni-Sarkozy o l’attrice Kristin Scott Thomas, di casa in questa porzione di Alentejo. Da molti paragonata agli Hamptons, Comporta è allergica a ostentazioni, paparazzi e turismo di massa. La spiegazione c’è: l’area è proprietà della Herdade da Comporta, una fondazione privata della famiglia Espírito Santo, fra le più eminenti della nazione e determinata a mantenere intatto l’incanto di questo tratto di costa. «L’equilibrio fra natura protetta e poche costruzioni discrete immerse nel paesaggio offre grandi spazi e massima privacy, cui si aggiungono la deliziosa semplicità e l’autenticità della popolazione locale. Il tutto crea un senso di appartenenza difficile da trovare altrove», dice Patrícia Barão, marketing director della fondazione. Una formula caratterizzata dall’assenza di grandi strutture alberghiere, che ha finora garantito l’esclusività del luogo, diventato elitario status symbol. «Il mio telefono suona continuamente: in molti mi chiedono dove alloggiare», racconta Isabel Carvalho, fra i pionieri della zona, visto che, vent’anni fa, ha aperto il primo bar sulla spiaggia e possiede uno dei ristoranti più ambiti, il Museu do Arroz (restaurantemuseudorroz.com) ricavato da un deposito di riso (con locale gemello sulle dune, l’Ilha do Arroz). «Non ci sono hotel né shopping centers, chi affitta casa lo fa ad amici di amici», spiega. Ma, niente paura, soggiornare è possibile: nelle quattro cabanas di Casas na Areia (casasnaareia.com), dove il pavimento è di sabbia, o da Brejo da Amada (brejodamada.com), un ecoresort frequentato anche dai reali di Spagna. Qui, la giornata ha ritmi lenti. Dopo un breakfast a base di “bolo rei” (pasticcini alle mandorle e uova) alla Pastaleria Eucalyptus (+351-966641845), ci si distende ad ammirare l’Atlantico sulle spiagge di Pego, Comporta o Carvalhal. Il lunch è a base di pesce sulla terrazza del Sal (restaurantesal.pt), dove l’insalata di polipo o il robalo arrosto hanno l’autentico sapore del mare; o al Comporta Café (+351-265497652) – specialità: risotto al nero di seppia –, dove l’atmosfera è cool e le amache dondolano sulla sabbia. Dopo la siesta, consigliato lo shopping in paese: imperdibile la Loja do Museu do Arroz (+351-927153677), dove l’artigianato internazionale si mixa al design portoghese. La sera, la young crowd si dà appuntamento da Gervásio (+351-265497111), per una bistecca o del pollo fritto serviti su tovaglie di carta. I piatti tipici come la açorda alla alentejana (zuppa di pane e baccalà) si gustano al meglio da O Ze’ (+351-265497220), il ristorante più antico di Comporta, della stessa famiglia da tre generazioni. Vita notturna? Inesistente. Perché, in questa oasi dove il lusso è spazio e tranquillità, ci si ritrova nelle case private. Nessun dress code e possibilmente a piedi nudi. Very boho e molto chic.
PEOPLE ARE TALKING ABOUT: BERLIN
A venticinque anni dalla caduta del muro, la capitale tedesca è “the place to be”. Metropoli a misura d’uomo, laboratorio di stili di vita, hub di startup, accoglie imprenditori, creativi, artisti da tutto il mondo. Merito del suo spirito unico: divertente, gioioso e ancora wild.
Tre anni fa, con una decisione presa d’impulso, mi sono trasferita a Berlino. C’ero già stata per lavoro, e ne ero rimasta folgorata per l’energia frizzante e giovane, per l’atmosfera alternativa e free, così diversa da quella che si respira in tanti paesi europei. A chi mi chiede dove vivo, oggi, si illuminano gli occhi quando nomino la città: «Ah, Berlino..». In quest’epoca di crisi, la capitale tedesca sembra un nuovo Eldorado. «La capitale più viva d’Europa»; «la nuova New York»: questo si dice, ed è merito dei creativi internazionali che qui fanno base ed evocano un mood da Village newyorkese. A sentire il richiamo di questa metropoli a misura d’uomo, multietnica, tollerante, cosmopolita, aperta – dove fatiscenti edifici di squatter convivono con condomini deluxe nuovi fiammanti – sono artisti e studenti, professionisti ed entrepreneur, qui per gli spazi a buon mercato, i costi relativamente bassi, l’eccellente qualità della vita. Ci sono, infatti, aria pulita, zone verdi, strutture per anziani e bambini. Non mancano, poi, le opportunità
di lavoro: le startup sono in concentrazione così alta da aver trasformato Berlino in una nuova Silicon Valley. Gli italiani sono ormai la seconda comunità straniera, dopo quella turca. Durante i festeggiamenti per la vittoria della Coppa del Mondo di calcio, nel mare di folla che intasava i dintorni della storica Porta di Brandeburgo, c’erano tutti, Berlinesi doc e d’adozione: insieme a gioire per la nazionale, ma anche per la vitalità e la nuova avvincente identità di Berlino. Nel 25° anniversario della caduta del muro – cicatrice della dolorosa spartizione che per anni ha squarciato la capitale tedesca, oggi monumento vivo, vissuto e gioioso simbolo della resistenza dello spirito umano – la città celebra e festeggia, riflette e ricorda (fra le iniziative, un’installazione luminosa che ricalcherà il tracciato del muro; mauer.visitberlin.de); ma, soprattutto, tira le somme sull’affascinante melting pot e laboratorio di stili di vita a cielo aperto che è diventata oggi. Una città che si è sviluppata organicamente, pur senza un masterplan: come motore solo l’energia della gente e quel desiderio di libertà sotto la cui inarrestabile spinta si frantumò il muro il 9 novembre del 1989. «Quando arrivai a Berlino, nel 1991», ci dice Ingo Schulze, uno dei più noti scrittori tedeschi, «il mood era festaiolo, gioioso, anarchico. Ricordo il mio primo giorno: scesi per strada, nella borghese Berlino Ovest, e c’era un gran fermento; una manifestazione, pensai. Poi mi venne incontro questa colorata creatura, un uomo o una lady, non saprei, che mi porse un preservativo. Era il Christopher Street Day, l’evento a favore dei diritti dei Lgbt. Trovai meravigliosa questa introduzione alla città». Nato a Dresda, nell’ex Germania dell’Est, Schulze alla capitale ha dedicato il libro di racconti “Bolero berlinese” (Feltrinelli). «Ero stato a Berlino Est ai tempi della DDR, ma quella post-muro era totalmente diversa. C’erano locali illegali, mentre iniziative spontanee e improvvisate – mostre, concerti – animavano i tanti spazi abbandonati, ripopolati ora dai giovani che avevano invaso la città. Come scrittore, non avevo più bisogno di viaggiare: i migliori autori dell’epoca erano confluiti qui e il dialogo letterario era, ed è tuttora, molto ricco. «Ho vissuto la mia adolescenza nella Berlino Ovest dei primi anni Ottanta, quando il nightclub Dschungel era “the place to
be”», racconta invece Fiona Bennett, cappellaia extraordinaire (fra i suoi clienti Christina Aguilera, Lady Gaga e Brad Pitt). «C’erano Iggy Pop, Lou Reed, David Bowie (che ha dedicato a quegli anni il suo recente singolo “Where are we now”, ndr). Erano tempi wild, lo stile era punk e new wave: Berlino Ovest era un’isola tranquilla, ideale per creare, senza pressioni commerciali. La parola d’ordine era sperimentazione. Dopo la caduta del muro andai ad abitare a Est, nel quartiere Mitte, in una fabbrica di sapone abbandonata, con un gruppo di performance artists, architetti, designer. Venivano a trovarci celebrità come Vivienne Westwood; e poi giapponesi, americani. Nel quartiere, oggi fra i più hip, non c’era un posto dove comprare il pane o il latte. Fu un’epoca fantastica. Avevamo tutti grandi sogni. Quello che ho realizzato a Berlino non sarebbe stato possibile in nessun’altra città del mondo». Prima del suo leggendario Cookies, Heinz “Cookie” Gindullis ha aperto a Berlino sette club, il primo nel 1994. «Abitavo in uno squat a Mitte. La zona era zeppa di spazi abbandonati, occupati da una folla internazionale che viveva alla giornata. Creai il mio primo bar nella cantina di casa. Allora non servivano permessi: trovavi un magazzino, ci portavi uno stereo, un tavolo e diventava un club. I locali aprivano solo una volta alla settimana: non sapevi mai se quella era l’ultima serata. La precarietà rendeva tutto speciale. Che ci fossero celebrità non importava a nessuno. Questo è ancora uno dei pregi di Berlino: qui non interessano la fama o il denaro, ma la personalità e i valori». Dall’atmosfera post-crollo del muro a quella precedente: nel 1989 Burkhard Kieker, giornalista politico, era il portavoce del Ceo della Lufthansa. «Il ruolo era una copertura: in realtà il mio lavoro consisteva nel fare rapporto sulla situazione politica di Berlino Est». Marcato dalla Stasi, la famigerata polizia segreta della DDR, Kieker visitava la zona comunista per «aiutare il lavoro dei giovani rivoluzionari». Prima del 9 novembre, il giornalista prevedeva una nuova piazza Tienanmen. «Specialmente dopo aver assistito alla repressione della manifestazione ad Alexanderplatz il 4 novembre. All’improvviso, da tunnel segreti, fece irruzione la Stasi, colpendo con ferocia i manifestanti e arrestandone a centinaia». Ma gli alleati russi staccarono la
spina e la DDR crollò. «Dopo la caduta del muro, il mood era euforico. Pensammo tutti: “the magic of Berlin will be back”. La capitale era sempre stata unica in Germania: originale, vitale, eccentrica. Poi il flusso della vita era stato interrotto, disturbato, distrutto, la città ridotta in rovine». Ci sono voluti quindici anni di cure intensive per sanare le ferite. La hip Berlin di oggi che tutti amano, speciale proprio per la sua storia, ha solo dieci anni. Ed è la città della libertà, dove puoi vivere la vita che ti scegli. È questo che più attrae i giovani. Come lo svedese Eric Wahlforss, che sei anni fa ha scelto Berlino, bypassando Londra e San Francisco, per fondare, con Alexander Ljung, SoundCloud, una piattaforma musicale che è anche una delle startup di maggior successo degli ultimi anni. «Per indicare la Berlino di oggi usiamo il tag “Punk meets tech”: descrive bene la vita alternativa della città che la distingue da altre startup communities e che è un hub di creatività dove la tecnologia incontra le arti». Eric è uno dei tanti “nuovi” berlinesi. Perché «a Berlino non ti senti mai uno straniero. Scava, scava, tutti siamo outsider», come dice Ingo Schulze. Per questo oggi tutti noi – immigrati vecchi e nuovi – citiamo John Kennedy nello storico discorso del 1963 e diciamo: «Ich bin ein Berliner».