FUNKHAUS NALEPASTRASSE. BERLIN
“ La vidi per la prima volta mentre navigavo con alcuni amici sullo Sprea. Apparve all’improvviso fra la vegetazione, e subito mi conquisto’.” Lei non e’ una bella donna, ma la Funkhaus di Nalepastraße, il monumentale edificio del quartiere berlinese di Oberschöneweide, che dal 1956 al 1990 ha ospitato la sede delle radio della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) o Germania dell’ Est. Lui e’ Uwe Fabich, il vulcanico imprenditore quaratunenne che la ha acquistata il maggio scorso, sollevandola da anni di stagnazione e decadenza. Ma torniamo al racconto: “ Ci fermammo, scendemmo a terra, entrammo nell’edificio: era davvero magnifico, molto piu’ bello che dall’esterno. Chiesi se era in vendita, dissero di no, ma lasciai ugualmente i mei contatti. Sei mesi dopo, mentre ero in Brasile, ricevetti una telefonata: l’edificio era sul mercato. Saltai sul primo aereo. Firmai lo stesso giorno.” Inizia cosi’, nel maggio scorso, la rinascita di uno degli edifici piu’ interessanti della scena architettonica berlinese, e di una icona del panorama musicale della citta’ dove hanno registrato hit da grandi orchestre a artisti come Sting, Mariah Carey, Alice Copper e gli Black Eyed Peas. Dopo la caduta del muro, passata da una mano all’altra, la Funkhaus e’ scivolata in un (apparentemente) inarrestabile torpore. Fino al fatidico incontro con Fabich, che nato in Transilvania ma cittadino del mondo, opera oggi a Berlino nella riconversione di edifici industriali. E la Funhaus hai numeri giusti per diventare il suo fiore all’occhiello. Costruita dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando la capitale tedesca i vincitori se l’erano spartita in fette come una torta, e quando la competizione fra la Berlino est e quella ovest per chi avesse gli edifici piu’ maestosi era al suo apice, la sede radiofonica fu implementata sullo scheletro di una fabbrica di compensato della fine degli anni Venti. Il design (e l’interior design) del maestoso complesso fu affidato all’architetto della Bauhaus Franz Erlich, allievo di Walter Gropius e seguace dell’architetto espressionista Hans Poelzig; che, poiche’ comunista, aveva trascorso anni nelle prigioni di Hitler, costretto a usare la matita per l’infame compito di disegnare gli archi di ingresso dei campi di concentramento del Terzo Reich. Ora Erlich poteva finalmente dispiegare il suo talento, a disposizione un generoso budget, per la realizzazione di una grande opera dove la funzionalita’ tedesca fosse arricchita da una dose di grandeur. La sfida era creare un design che esaltasse al massimo la qualita’ della acustica, e accomodasse la sofisticata tecnologia del suono. Il risultato e’ un complesso – il cui nucleo e’ il block B costruito interamente da Erlich – dai grandiosi ambienti, realizzato in uno stile che fonde elementi Bauhaus al classicismo sovietico tipico della architettura della RDT (“ Bauhaus incontra Stalin ” lo definisce Fabich). Dove la ricchezza dei materiali degli interni – marmi della zona di Dresda, legni come quercia grigia e bianca ed ebano di Macassar – e’ in contrasto con gli austeri esterni. E dove elementi tipici del decor tedesco del dopoguerra si mixano, in una interessante composizione visiva, a elementi neoclassici, e reminiscenze art deco, in linea con la estetica post-bellica dei designer della Bauhaus, che da radical modern era diventata piu’ borghese. Punto focale la Großer Sendesaal 1, una sala da concerti dalla acustica eccezionale dove hanno diretto da Daniel Barenboim a Kent Nagano, e dove il famoso ex enfant prodige cinese, il pianista Lang Lang, ha registrato il suo ultimo album di Chopin. La sala e’ concepita come un enorme corpo acustico, una sorta di guscio di uno strumento tipo il violoncello; cosi come tutti gli studi di registrazione dell’intero blocco del resto, studiati ognuno per un genere di musicale diverso: sinfonico pop, dance, da camera. La inaugurazione ufficiale della Funkhaus avvenne nel 1956 dopo un incendio attribuito dalla RDT a “nemici del regime”. L’ensemble, la piu’ vasta sede di diffusione radiofonica al mondo, si trasformo’ presto in una vera e propria cittadella, dove trovarono impiego piu’ di 3.000 persone: con tanto di clinica, dentista, mense, kindergarten, un parrucchiere, un alimentari, una libreria, una sauna, e persino una gelateria. “La Funkhaus era a quell’epoca, naturalmente, uno strumento di propaganda” ci dice Gerhard Steinke, lo scienziato del suono, un mito nel suo campo, che fu uno dei consulenti per la creazione della straordinaria acustica del complesso. “ Ma al di la’ delle stupidaggini della politica, era un mondo magico e molto speciale sia per noi tecnici che per i musicisti, dove si aspirava alla massima qualita’. “ Una visita alla Funkhaus oggi regala una esperienza ancora unica: l’atmosfera e’ tuttora viva, grazie a studi di musicisti ed artisti, sedi di case discografiche, e la occasionale troupe cinematografica attratta dalla suggestione del luogo (ci hanno girato anche Spielberg e Tom Hanks). Viste le dimensioni, si circola anche in bicicletta o skateboard. La attrazione principale e’ ancora il Block B, dove i marmi dei corridoi e delle sale provengono dalla demolizione della Cancelleria del Reich; la mobilia e’ quella originale dei Fifties, sembra davvero di stare su un set cinematografico. Nella Pill Room (la sala di riunione dell’ex consiglio direttivo, la Rundfunk Komittee), cosiddetta per la decorazione del soffitto a “ gusci d’uovo”, pare che un meeting si sia appena concluso. Alcune zone del complesso, pero’, restano ancora nell’ ombra. Ma per poco: la visione di Fabich, che ha portato una ventata di fresca energia e ha esordito restaurando le parti cadenti degli edifici, prevede la reinstallazione delle originali stanze di controllo e l’aggiornamento della tecnologia acustica. E la creazione – per attrarre mega-star della musica – di backstage room e lounge dove si potra’ anche pernottare; si affacceranno sul fiume, dove si potra’ parcheggiare la propria imbarcazione privata. Ma ci saranno, a ricreare l’atmosfera da village dei tempi della RDT, anche attrazioni culinarie come un ristorante italiano, il Milchbar a proporre ottima cucina tedesca (“se non e’ un ossimoro” scherza Fabich), e un Konsum, un supermercato del genere di quelli dell’era comunista, che proporra’ articoli come gelati made in Russia. Oltre a un battello dell’epoca della RDT, finemente restaurato, che traghettera’ i visitatori dalla zona di Ostkreuz. Intanto, attratte dal nuovo fermento, stanno arrivando anche start-up musicali come Native Instruments, e filiali di scuole e universita’ di musica da tutto il mondo. Mentre mostre d’arte contemporanea ed altri eventi culturali animano gia’ gli storici spazi. “Vorrei che la Funkhaus diventasse un centro creativo ad ampio raggio, ma soprattutto uno dei migliori centri musicali al mondo” conclude Fabich.
SMART CITIES
Parliamo delle nostre citta’: qui nasciamo, abitiamo, cresciamo, invecchiamo; Ie percorriamo spasmodicamente per gran parte della nostra vita. Secondo le previsioni delle Nazioni Unite, entro il 2050 oltre il settanta per cento della popolazione mondiale vivra’ in un agglomerato urbano. Metropoli in continua espansione – tra quindici anni quelle con piu’ di dieci milioni di abitanti saranno quarantuno –
spesso al limite delle loro stesse capacita’, che ci seducono, ci abbracciano, ci avvelenano, ci minacciano. Siamo loro legati da un rapporto di odio-amore, che puo’ esplodere in divorzio (fuga in campagna), patteggiare una separazione consensuale (la periferia, piu’ umana), o capitolare in tiepida, rassegnata convivenza. Cosi integrate alla nostra realta’, come si adattano al mutare continuo degli stili di vita, specialmente a quelli sempre piu’ rapidi e connessi delle last generations? Il dibattito impazza in piattaforme, forum, congressi e convegni, tutti tesi a identificare nuove soluzioni creative per vivere, anzi convivere con esse. A formulare inventivi modelli di coabitazione urbana, una eletta schiera di pianificatori, scienziati, e soprattutto giovani, tecnologici e no. Il vocabolo sulla bocca di tutti e’ Smart City (o iPhone City o Digital City): un luogo “ dove la rete tradizionale dei servizi e’ resa piu’ efficiente dall’uso delle tecnologie digitali, per il beneficio dei suoi abitanti e delle sue imprese ”; come la definisce il sito dell’Unione Europea, che nel 2012 ha creato la European Innovation Partnership on Smart Cities and Communities, piattaforma con Io scopo di istituire un dialogo fra amministrazioni locali, capitani d’industria e rappresentanti dei cittadini. Obiettivo: rendere la citti piu’ agile, vivibile e sicura. E individuare gli interventi che permetteranno di realizzare una metropoli dalla qualita’ di vita eccellente (ma ci accontenteremmo di decente); dove il network del trasporto urbano sara’ puntuale e intelligente,
il servizio di distribuzione idrica e di smaltimento dei rifiuti ineccepibile, i sistemi d’illuminazione e di riscaldamento energeticamente smart, l’amministrazione cittadina responsabile e disponibile, gli spazi pubblici puliti e sicuri. Sogno, utopia? Pare di no, guardando Songdo, nella Corea del Sud, citta’ che pare planata dalla fantascienza, in via di ultimazione entro il 2016. Creata ex novo su territorio reclamato al mare a sud-est di Seoul, in questa “citta’ del futuro” dal design rivoluzionario, ogni strada, edificio, veicolo o oggetto pubblico sara’ dotato di un sensore wireless o un microchip. Pensiamo a lampioni che contano i passanti per spegnersi quando non c’e’ nessuno; bidoni della spazzatura che mandano un bip quando sono pieni e trasmettono le previsioni meteo; automobili con sensori che segnalano intoppi nel traffico; braccialetti con microchip per i bambini, perche’siano sempre rintracciabili. Non solo: ogni abitazione, ospedale, scuola o ufficio sara’ dotata di un dispositivo che regolera’ in modo intelligente l’aria condizionata e il riscaldamento; ma anche la lavatrice e il frigo, cosi come la chiusura della porta d’ingresso e quella del garage: peccato non possa andare a fare la spesa (ma chissa, in futuro). Intanto, senza andare lontano, diverse citta’ europee – in testa Malmo, Nizza, Copenhagen e Barcellona – stanno sperimentando una gamma di soluzioni hi-tech: chez nous, poi, Capri dovrebbe diventare un’isola interamente smart. Niente rombo di motori e conseguente inquinamento da traffico invece a Masdar City, la nuova eco-urbe in costruzione ad Abu Dhabi: dove il trasporto sara’ affidato esclusivamente alle auto elettriche. E viste le temperature roventi della regione, le pensiline della fermata dell’autobus diffonderanno bruma fresca appena il termometro superera’ i trenta gradi. Intanto Guangzhou in Cina, metropoli di quindici milioni di abitanti che e’ anche un mega-hub commerciale, si propone come modello di urbanismo del Ventunesimo secolo e ha lanciato neL 2012 il Guangzhou International Award for Urban Innovation, un premio che seleziona formule innovative urbane sia evoluzionarie (che migliorano strutture gia’ esistenti) sia rivoluzionarie (che introducono pratiche inedite). Fra le piu’ interessanti proposte delle quindici citta’ finaliste del 2014, soluzioni per proteggere i cittadini dalle emergenze create dal cambiamento climatico, come i sempre piu’ frequenti uragani, l’innalzamento delle acque, o l’aumento di temperatura. Il centro operativo anti-storm di Rio de Janeiro, per esempio, coordinando con tecnologie digitali gli interventi degli enti di soccorso, ha salvato dalla sua istituzione centinaia di abitanti delle favelas, nel passato travolti dal fango. Non solo tecnologia pero’: nuove invenzioni affrontano il disagio sociale metropolitano. Vedi lo straordinario successo dei “parchi biblioteca” di Medellin, in Colombia, inaugurati nei quartieri piu’ poveri della citta’. Questi spazi pubblici, disegnati da architetti internazionali, mettono a disposizione una biblioteca immersa in un parco. Lo scopo? Fornire a tutti, soprattutto ai giovani, in una societa’ tristemente nota per la sua violenza, un rifugio che celebri la cultura e la convivenza civile. Un’altra idea “sociale” decisamente originale? Quella di Eskigehir, in Turchia: dove ha aperto i battenti un museo dedicato alla memoria dei cittadini sulla citta’. Nelf ipertecnologico City Memory Museum, chiunque puo’ registrare i propri ricordi e le proprie esperienze della cultura urbana locale. Il serbatoio di memorie, alimentato di continuo, fa si che lo spazio rimanga un vitale work in progress. A proposito di partecipazione di cittadini: dagli States agli antipodi passando dalla nostra vecchia Europa dilaga intanto il “placemaking”, ovvero la trasformazione degli spazi pubblici a opera dei cittadini. Vedi lo “Splash Adelaide”, dove le vie e le piazze della citta’ dell’Australia del Sud, chiuse per un giorno o una sera, sono diventate palcoscenico sperimentale di street parties, proiezioni all’aperto, concerti improvvisati, e altre iniziative ideate dai cittadini per individuare nuovi usi degli spazi. Mentre a Buenos Aires, per sconfiggere la mastodontica burocrazia (tutto il mondo e’ paese) sono sorte tavole rotonde in cui cittadini di ogni classe sociale e giunta comunale si confrontano per formulare strategie di innovazione urbana. Fra le idee emerse: le “Scuole del futuro”, dove, anche se i professori saranno ancora in carne e ossa, la robotica e le stampanti 3D avranno un ruolo cruciale nel processo di apprendimento. Insomma, anche se le automobili volanti di “Blade Runner” e “Il Quinto Elemento” non sono ancora in circolazione, una cosa e’ certa: il nostro futuro nelle citta’sara’ orchestrato dalle tecnologie. Con la speranza pero’ che gli ingredienti essenziali delle nostre esperienze urbane diventino il rispetto per il prossimo, e il senso di comunita’. Chissa’ se anche questi saranno monitorati da sensori…