SHARJAH’s artsy charme
Se, uscendo dall’aeroporto di Dubai, ti dirigi a nord lungo la costa, ti immergi subito nel landscape urbano tipico del Golfo Persico: svettanti grattacieli e sinuose superstrade iper-veloci. Man mano che da Dubai ti avvicini a Sharjah pero’ (i due emirati sono l’uno l’estensione dell’altro), le discrepanze fra i due si fanno evidenti. Agli edifici degli archistar, ai mega-mall, ai parchi del divertimento, la piu’ tradizionale (e ancora poco nota) Sharjah, indisturbata dal clamore della iper-glam Dubai, contrappone il fascino discreto della architettura araba, delle svettanti moschee (piu’ di 600), dei porti popolati dai dhow. E con un occhio alla tradizione, e iniziative rivolte alla comunita’ locale, propone uno squarcio di vera vita del Golfo Persico, e una atmosfera understated, autentica. Non per niente e’ stata eletta dall’Unesco (nel 2014) Capitale della Cultura Islamica. Una visione voluta dal monarca, lo Sceicco Sultan bin Muhammad al-Qasimi, poeta e scrittore con il pallino della botanica; che a differenza dei suoi colleghi nella zona, piu’ che sul business o sul turismo ha deciso di puntare qui sulla cultura, che ritiene “essenziale per lo spirito”. Avviando, dalla sua ascesa al trono nel 1972, una vera rinascita: con la creazione di musei, universita’, fiere letterarie, compagnie teatrali e fondazioni artistiche. Ma a piazzare Sharjah sulla mappa dei globorati e’ stata la Biennale d’Arte Contemporanea, diretta dal 2003 dalla Sceicca Hoor al-Qasimi, figlia piu’ giovane del monarca, lei stessa un’artista. Una manifestazione che da quando la young royal ne ha preso le redini, e’ diventata un laboratorio di talenti noto per la sua arte sociale e sperimentale, connotazioni davvero inusuali in un paese tradizionale islamico. La Biennale attrae un hip crowd internazionale di curatori e artisti (ma non solo): qui per assaporare questo brand di cultura cutting-edge con un occhio rivolto al passato. “Sharjah si e’ creata una nicchia di polo culturale. La scena artistica e’ attecchita in modo organico. E’ la risposta non profit alla piu’ commerciale Dubai.” ci dice Giuseppe Moscatello, direttore del Maraya Art Center, una organizzazione che finanzia artisti locali, e propone workshop educativi, social engagement, e arte in spazi pubblici. “ Negli ultimi anni sono proliferate scuole d’arte e enti a sostegno degli artisti locali. Questo e’ un milieu che ispira, grazie a manifestazioni di discipline che spaziano dal teatro alla poesia. ” gli fa eco Nasir Nasrallah, un artista locale che opera nell’ambito della Sharjah Art Foundation (SAF); una organizzazione voluta dalla Sheikha Hoor per curare mostre, dibattiti e convegni fra una Biennale e l’altra. Studiati per coinvolgere attivamente il pubblico, gli ambienti della SAF sono strategicamente situati nella Heritage Area, cuore culturale della citta’; un quartiere di case tradizionali in fango e corallo, gia’ appartenute a pescatori di perle. Negli spazi della SAF installazioni, video, e arte interattiva: ma anche un cinema all’aperto (free), un giardino comune, e un campo di cricket dove giocano i bambini locali. Della fondazione anche il centro Bait Al Shamsi, che ospita studi di artisti, e propone iniziative come un progetto che invita i la comunita’ locale a eseguire lavori seguendo le istruzioni di artisti. Nella zona anche l’ Heritage Museum, essenziale per seguire la evoluzione di usi e costumi della regione, un Museo della Calligrafia, e il Sharjah Art Museum dove il focus e’ sull’arte araba, (c’e’ anche una collezione di dipinti orientalisti di proprieta’ dello Sceicco). Nel monumentale Museo della Civilta’ Islamica infine, che rivaleggia con quello di Doha in Qatar, i reperti sono piu’ di 5000, e vanno da strumenti di astronomia a un lembo di un tessuto che ricopriva la Kaaba alla Mecca. A rischio di una overdose di cultura? Ideale una pausa-shopping nei souk, qui (benche’ modernizzati) ancora veri. Al Souk Al Arsah o Old Souk per esempio, dove piuttosto che orde di turisti trovi la massaia a fare la spesa, ci si rifornisce di spezie mediorientali, incenso dal vicino Oman, e erbe medicinali. Nel Souk Al Markazi o Blue Souq invece, i locali acquistano gioielli in oro (nel mondo arabo indossato solo dalle donne), oggetti di antiquariato, tappeti persiani, e pashminas indiani (i piu’ pregiati sono dietro il bancone). Interessante anche il nuovo Souk Al Jubail che ospita il mercato del pesce: il setting e’ asettico, ma la varieta’ di pesci del Golfo Persico, come il prelibato Hamour, e’ affascinante. Nel padiglione anche fragrante frutta esotica come i profumati manghi Alphonso pachistani, e una impressionante varieta’ di datteri, come i prelibati Ajwa dell’Arabia Saudita, usati per curare il diabete e persino contro la magia nera. Al calar del tramonto l’atmosfera in citta’ si fa familiare, soft (nell’emirato niente bevande alcoliche, per la nightlife ci si sposta a Dubai). Si passeggia attorno alle lagune, sull’Al Majaz Waterfront per esempio, punteggiato da caffe’ e ristoranti. O ci si siede in uno dei tavolini all’aperto dei locali di cucina internazionale che affiancano il canale in stile veneziano del quartiere di Al Qasbah, su cui scivolano tradizionali battelli illuminati. E, cultura a parte, la suggestione made in Sharjah e’ assicurata.
THE FLYING SAUCER – SHARJAH
Un disco volante è planato su Sharjah, l’Emirato a nord di Dubai già capitale della cultura islamica e meta per il turismo d’arte. Ha l’aspetto di un edificio dalle forme bizzarre, che ricorda l’astronave di una serie tv genere Star Trek. Non per niente l’oggetto misterioso è stato prontamente battezzato “The Flying Saucer”. E anche la nostra navicella spaziale, come ogni ufo che si rispetti, ha un passato enigmatico e
oscuro, rischiarato però da un futuro di grandi promesse. Situata nel centrale quartiere di Dasman, l’eccentrica costruzione, esempio di architettura modernista dei Seventies, si inserisce in un contesto urbano in cui la stratificazione di stili si è sviluppata in modo organico. «A differenza di altri Emirati, dove la contrapposizione fra gli edifici storici e le costruzioni recenti è evidente, qui gli immobili vecchi e nuovi
sono perfettamente integrati», spiega la sheikha Hoor Al Qasimi, fondatrice della Sharjah Art Foundation, che ha lanciato nel novembre scorso il “Flying Saucer Memorabilia”, un bando per raccogliere notizie su origini, storia e leggende dell’ormai iconico Saucer. Il risultato? Oltre alle notizie di avvistamenti di oggetti volanti in Kuwait nell’anno della costruzione dell’edificio (il 1975, pare), si è scoperto che il fabbricato faceva parte di un progetto per la costruzione di sei strutture gemelle mai realizzate, da implementare in tutto il paese (anche se il nome dell’architetto a cui si deve la fantasiosa
foggia rimane ancora ignoto). È stata anche svelata una sommaria cronologia degli occupanti; in ordine di apparizione: un supermercato, una pâtisserie francese, un gift shop, e infine la filiale di una catena di fast food. Nel 2015 l’artista Hassan Khan decide di usare gli inusuali ambienti per il suo lavoro “Ufo! Ufo?”, per la Sharjah Biennial. Ed è in questo momento che l’edificio entra nell’orbita di interesse di Hoor, particolarmente sensibile alla sua sorte per via dei ricordi infantili (ci veniva a comprare i dolci quando era ancora una pasticceria). Dopo averlo acquisito, nel febbraio scorso ci ha presentato la mostra “1980-Today. Exhibitions in the United Arab Emirates”. E a maggio estesi lavori di restauro realizzeranno un makeover che permetterà al Saucer di entrare nella scuderia di edifici di charme restaurati – tra cui un cinema degli anni Sessanta e una vecchia fabbrica di ghiaccio – che costituiranno la sede permanente delle iniziative artistiche della Art Foundation.
Chissa’ se anche questi saranno monitorati da sensori…
THE LOUVRE, ABU DHABI
Altro che sorriso enigmatico: la Gioconda probabilmente ora ride. Perché il Louvre di Parigi, che da sempre ospita il capolavoro leonardesco, è pronto a sbarcare in pieno deserto, seguendo, un paio di secoli più tardi, le orme napoleoniche. Si duplica in un deserto dorato: quello di Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti che aspira a diventare il centro culturale di tutto il Medio Oriente. Lo fa con il progetto del distretto culturale di Saadiyat Island, un’isola a soli dieci minuti dal centro di Abu Dhabi, di cui l’attesissimo Louvre disegnato da Jean Nouvel – apertura prevista ma non confermata entro il 2016–, sarà la prima illustre presenza. Il distretto sarà un agglomerato futuristico di cultura, oltre che una “collezione” di architetture: dal Guggenheim Museum di Frank O. Gehry, dedicato all’arte contemporanea (apertura prevista per il 2017), al Zayed National Museum di Foster + Partners, che racconterà la storia degli Emirati Arabi Uniti (opening nel 2016), fino al museo marittimo firmato dA Tadao Ando per celebrare la tradizione marinara dell’area; previsti inoltre centri di ricerca, un Performing Arts Centre e un campus della New York University. Un’anteprima di tutto questo può essere visitato al Manarat Al Saadiyat, un centro culturale progettato da Aedas, che presenta la futura
identità culturale dell’isola attraverso mostre a tema. Tornando al Louvre, il progetto di Nouvel sarà «un museo universale nel mondo arabo» mirante a incoraggiare il dialogo artistico e lo scambio fra le varie culture: non a caso, vista la posizione geografica di Abu Dhabi e la sua vocazione a far da mediatore fra Asia, Africa ed Europa. Opere di civiltà ed epoche diverse saranno esposte insieme, a dimostrare l’universalità delle esperienze umane e i legami fra i vari movimenti artistici. Ispirata alla cultura locale e alle condizioni climatiche della zona, la struttura sarà coperta da una cupola, che appare come un pizzo geometrico, a ricordare i tradizionali tetti di foglie di palma, e a creare un magico e sempre mutevole gioco di luci e ombre. A suggellare la suggestione del luogo, anche il fruscio di quei corsi d’acqua che attraverseranno l’edificio, rievocando i falaj, i tipici canali d’irrigazione arabi. Il Louvre, come ha dichiarato Nouvel, «vuole creare un mondo accogliente che combina serenamente luce e ombra, calma e riflessione. Vuole appartenere a un paese, alla sua storia, alla sua posizione geografica, senza diventare una traduzione piatta del museo parigino. Piuttosto vuole intensificare il fascino di incontri eccezionali». La collezione permanente del museo sarà lentamente, ma solidamente, sviluppata negli anni. La prima mostra temporanea? Trecento opere, ecco il business, liberalmente prestate da varie
istituzioni francesi, fra cui, oltre al Louvre, il Musée d’Orsay, il Musée du quai Branly e il Centre Pompidou. Dipinti- capolavori: da Van Gogh a Monet; da Matisse e Warhol. E Monna Lisa? Perché il suo sorriso non ne soffra, le si è consigliato di rimanere a casa.